domenica 24 marzo 2013

In the Saddle...


29 novembre 1983.

Adesso non avevano più paura. Non potevano averne. Ora, che avevano espugnato Highbury, battendo in rimonta un confuso e imbarazzato Arsenal per 2-1, ed erano usciti dallo stadio festeggiando con i propri tifosi arrivati in massa a Londra, portando in trionfo Mark Rees e Ally Brown. Gli uomini che con le loro reti caparbie e scaltre, si erano guadagnati un posto di diritto nella storia quasi centenaria dell’ Walsall FC. Mentre intanto, dall’altra parte dell’impianto, sotto le luci velate dalla nebbia d’autunno, la North Bank gridava “Neill must go”. I saddlers avrebbero giocato le semifinali della League Cup, guidati dall’intraprendente e coriaceo Alan Buckley da Mansfield. Un traguardo di assoluto prestigio, giunto dopo una cavalcata iniziata in agosto, eliminando nell’ordine Blackpool, Barnsley, Shrewsbury Town, e infine, come detto, i gunners a casa loro.

Cavalcata è il termine esatto, si evince dal soprannome del club che non lascia spazio ad altre possibilità. I sellai. Una cittadina quella di Walsall situata nella contea metropolitana delle West Midlands, nel cuore dell'Inghilterra, dove si avverte a un passo il respiro della grande Birmingham, la seconda città del Regno Unito. Walsall è stata un centro prospero nel campo manifatturiero e del mercato fin dal medioevo al punto da prendere l’appellativo di “città dei cento commerci”; La capitale mondiale della pelle. Ed è appurato che le migliori selle inglesi siano costruite proprio a Walsall, nel rispetto di una tradizione secolare, anche se, ormai, le zone industriali stanno diventando un’entità sempre più estranea al popolo inglese, proprio perché, qui come altrove si produce sempre meno, al punto che rischi di perderti attraversando certe vie anonime e tutte uguali, dove la gloria del passato finge di apparirti solo per un attimo in un rapido riflesso su pozzanghere tristi.

Esaurita la sbornia londinese, il sorteggio aveva regalato al Walsall un viaggio a Anfield, per la partita di andata delle semifinali di Milk Cup. Poi ci sarebbe stato il ritorno a Fellows Park, anelando segretamente affinché non restasse un’inutile appendice in caso di sonora batosta subita a Liverpool, come qualche addetto ai lavori già paventava. Certo, sarebbe stata dura, i saddlers avevano conquistato Highbury, è vero, però quell’Arsenal dell’nordirlandese Terry Neill, ad essere del tutto sinceri non appariva poi così irresistibile. I biancorossi di Islington, avevano segnato grazie a una conclusione in corsa del versatile Stewart Robson, ma si erano fatti sorprendere nell’azione del pareggio e irridere a cinque minuti dal termine a causa di un ignobile pasticcio del lungo colored Chris Whyte, che probabilmente si stava chiedendo se in quel momento si trovasse a difendere l’area dei gunners oppure seduto su una panchina a Gillespie Park a contemplare il senso della vita. Due anni dopo con il fagotto rattoppato di quel pallone velenoso in spalla, partirà disincantato per gli Stati Uniti a cercar fortuna nel “Soccer” americano, da dove ritornerà nel 1988 per approdare al WBA.

Il confronto appariva impietoso. Uscire indenni da Anfield in quel periodo era congiunzione astrale che accadeva più o meno, come il passaggio della cometa di Halley sulle nostre teste. Il Walsall una squadra di terza divisione, mentre il Liverpool negli ultimi sette anni si era già sistemato in museo tre Coppe dei Campioni, una Coppa Uefa, tre Coppe di Lega consecutive, e cinque titoli di Campione d’Inghilterra. Una corazzata, guidata da Joe Fagan, che aveva appena rilevato in panchina Bob Paisley, avente in campo undici fenomeni con la maglia rossa che si trasformavano come inebriati, in una sorta di delirio agonistico, investiti dalle note malinconiche e struggenti di You ll’never walk alone. Come opporsi. Come porre un freno, e limitare i danni, come poter sperare, di avere un briciolo di opportunità per andare a giocarsi la finale a Wembley.

I saddlers a una prima fugace occhiata, apparivano una squadra di liceali in gita turistica. Il trio di centrocampo David Preece, Craig Shakespeare e Gary Childs, aveva un'età media di 19 anni. Tra gli altri, Kenny Hooper e il cervellotico Mark “Psycho” Rees, apparivano elementi solcati da rughe di vita e infanzie disagiate, ma che alla fine, all’anagrafe anche loro risultavano poco più che ventenni. C’era gente che nei sabati pomeriggio degli anni precedenti aveva visto gente bere birra e mangiarli in faccia fish & chips appoggiata a tentennanti balaustre di legno, negli ameni campi della Non –League. Nomi sconosciuti non solo alla nobiltà, ma anche alla borghesia calcistica, tipo Ron Green e Richard O'Kelly. Oppure, giocatori pescati fra i rivali locali, della fuligginosa Black Country: AstonVilla, Birmingham City e West Bromwich. Come Colin Brazier, Kevin Summerfield, Phil Hawker e lo sfortunato Ian Handysides. Un po’ d’esperienza si poteva trovare forse in Brian Caswell, e nel capitano Peter Hart, ex giocatore dell’Huddersfield, detto il reverendo, perché a fine carriera fu ordinato ministro della Chiesa d'Inghilterra e diventò vicario della parrocchia di St Lucke’s a Cannock. Infine il veterano Ally Brown, l’attaccante che aveva infilato Pat Jennings sotto la Clock End, facendo apparire i suoi baffi sornioni sulle pagine dei quotidiani del giorno dopo.

I Reds, non avrebbero per nessuna ragione sottovalutato e tenuto in scarsa considerazione avversario e partita. Le ultime tre vittorie di seguito nella manifestazione stavano lì a testimoniare un vangelo, dove il credo mutuato in vittorie veniva ripetuto sotto forma di laica preghiera ogni sera prima di andare a dormire. Per Alan Buckley una piccola fortuna c’era a dirla tutta. Ad Anfield, non ci sarebbero stati per la prima gara né Greame Souness, né Kenny Dalglish. Tutto sommato, non era poco. Una grazia da prendere, e fare inchino di riconoscenza al destino. L’incontro d’andata come riporta il programma si giocò il 7 febbraio 1984, alle 19.30 inglesi, quando le brume delle Mersey si mischiavano ai vapori dei cori della Kop, e ai fraseggi corti e pazienti dei Reds, in una sorta di stucchevole anticamera, a cui seguivano temibili e pungenti offensive, spesso letali che ormai non solo l’Inghilterra conosceva, ma un po’ tutta l’Europa del pallone. Il Walsall nella bella maglia blu da trasferta griffata Patrick, fa quello che può, finché fu costretto a capitolare quando una girata di Ian Rush innescò l’accorrente Whelan per l’1-0. Pareva un copione già scritto. E invece in barba a facili pronostici la serata si riaccese, grazie a un erroraccio del folletto Sammy Lee che smarrì maldestramente un pallone in area di rigore, che O’Kelly con un colpetto da biliardo fece scorrere lungo la linea di porta, e i precipitosi Phil Neal e Gary Gillespie non ottennero niente di meglio che un groviglio di gambe che spinse la palla in rete per un autogol apparso probabilmente evitabile. “Unbelievable”, certo.

Un pareggio a fine primo tempo per i saddlers era quanto di meglio potessero attendersi, ma adesso, la fenice ferita cercava vendetta e il ristabilimento delle giuste gerarchie. E allora Craig Johnstone, che la faccia da pittore naif c’è l’aveva, con quella massa scomposta di ricci ribelli e scuri, tracciò una pennellata d’autore che terminò esattamente sulla testa dell’onnipresente Ronnie Whelan, e l’irlandese siglò perentoriamente la sua doppietta personale riportando avanti il Liverpool a metà ripresa. Nonostante tutto l’istrionico Buckley lesse nelle pieghe del match, intuì che difendersi sarebbe stato come far sentire l’odore del sangue ad uno squalo, e allora ci prova. Butta dentro un attaccante, Kevin Summerfield, al quale il piccolo, scattante, e estroso David Preece servì un invitante assist che il neo entrato trasformò in un pallonetto delizioso infilatosi alle spalle di un esterrefatto Grobbelaar. 2-2. E poteva anche non finire lì, se Mark Rees non avesse perso una grande occasione fracassando la palla sull'esterno della rete rossa di Anfield, per quella che sarebbe stata una vittoria assolutamente da ricordare negli annali.

Walsall era comunque entusiasta. I suoi ragazzi erano ampiamente in corsa per andare a Wembley, dove la storia fatta col senno di poi, gli avrebbe consegnato l’Everton e l’Europa, perché anche in caso di sconfitta nell’atto conclusivo, per il piccolo club di terza divisione delle West Midlands, si sarebbero aperte le porte della Coppa Uefa, considerando che l’undici di Howard Kendall la stagione seguente sarebbe risultato iscritto alla scomparsa Coppa delle Coppe grazie alla futura vittoria in FA Cup. Una logica ferrea e oserei dire suggestiva, ma solo fatta alla luce chiara dei posteri, e che evidentemente, purtroppo per i saddlers, non si verificò.

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Oggi all’angolo fra Hilary Road e Bauges Lane a pochi metri dalla ferrovia c’è un supermercato. Il Morrisons. Nel 1984 c’era Fellows Park il vecchio stadio dei saddlers, costruito nel 1896 dopo la fusione di sei anni prima fra i due sodalizi calcistici cittadini. Un amalgama fra lo Walsall Town e lo Walsall Swifts, che infuse la scintilla di vita al “moderno”Walsall FC.

Il 14 febbraio 1984 nel giorno di San Valentino, per la partita di ritorno c’erano forse più di ventimila persone al Fellows, una roba che non si vedeva più dai tempi di Colin Taylor, la leggenda da 184 goal spalmati fra il 1958 e il 1973. A onor del vero di gente c’è n’era fin troppa. Da Liverpool erano arrivati in tanti, e forse qualcuno, anzi più di uno, senza nemmeno il biglietto d’ingresso in tasca.

Comunque si gioca, atmosfera elettrica. Ad Alan Buckley chiedono il miracolo, ma lui alla fine non è un mago né tanto meno un profeta. Poi dopo un quarto d’ora, un tonfo. Sordo, quasi un grugnito. Polvere, grida e lamenti. Sotto il peso di centinaia di persone, un muro di sostegno della stand lato ferrovia collassò su se stesso e una ventina di tifosi resteranno feriti. A dare i primi soccorsi, Greame Souness che qualche fotografo immortalò mentre trasporta al sicuro un bambino tenendolo fra le braccia. Fortunatamente le conseguenze non saranno gravi per nessuno, ma poteva andar peggio. Fatto sta che nel 1990 il Bescot Stadium, che ha sostituito Fellows Park, è stato uno dei primi nuovi impianti costruiti a seguito del rapporto Taylor in merito alle nuove disposizioni di sicurezza negli stadi inglesi. La partita viene portata a termine, anche se è indubbio che l’episodio abbia turbato più i ragazzi di Buckley, che l’oramai esperto e navigato gruppo di Fagan. Eppure qualche occasione il Walsall riuscì a crearsela con Richard O'Kelly, al quale disse di no Bruce Grobbelaar, e con Ally Brown, il cui tirò sfiorò il palo. Solo che, il Liverpool, quella sera in una sgargiante divisa gialla, aveva là davanti un tipo come Ian Rush, che potrà pure aver deluso qualcuno nella sua triste esperienza italiana, ma finché ha indossato la maglia del Liverpool, in area di rigore si è sempre dimostrato un autentica sentenza. Suo il goal del vantaggio dei reds che allontanò sogni proibiti dalla testa dei sostenitori di casa, spazzati via poi completamente a inizio secondo tempo dal solito Whelan per il secco 2-0. Va detto che il Walsall non mollò fino alla fine mostrando indomito coraggio e intraprendenza. Saddlers, Brown, e Kevin Summerfield, mancarono di poco quel goal che riavrebbe acceso la speranza, ma così non fu, e il Liverpool se ne andò in finale a vincere la sua quarta coppa di Lega consecutiva. Cavalcare fino a Wembley si dimostrò impresa troppo ardua anche per dei sellai..


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di Sir Simon

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